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giovedì 7 ottobre 2010

Campomaggiore: la città dell'utopia perduta


Questo borgo ha tutto l'aspetto di un luogo irreale. Le sue origini risalgono al periodo romano, ma nel corso del tempo è stato oggetto prima di scorrerie arabe e poi del dominio bizantino, normanno e angioino, restando un feudo povero con un numero esiguo di abitanti. Una vera e propria svolta si ebbe nel 1622 quando Re Filippo IV decise di affidare il feudo alla famiglia Rendina con l'obiettivo di ripopolarlo e riportarlo allo splendore. Ancora più astuta fu la decisione della nuova famiglia di conti, e cioè quella di fondare un borgo secondo le regole architettoniche del tempo. La progettazione fu affidata a Giovanni Patturelli allievo del grande maestro Vanvitelli e proprio sin dall'idea iniziale fu pensata come una cittadina utopica, governata dal principio dell'uguaglianza. Infatti ogni casa possedeva la stessa metratura di terreno, tutto coltivato a vigna e uliveto. Al centro di questo borgo vi era una una piazza su si affacciava sia la Chiesa dedicata alla Beata Vergine Maria del Monte Carmelo e sia il palazzo baronale. I conti Rendina stabilirono un buon rapporto con le famiglie del luogo, tanto che nel 1833 si contano 1500 abitanti.
Questa "città del sole" fu però sconvolta da un'ingente frana che colpì Campomaggiore il 2 febbraio del 1855 e da allora si è gradualmente trasformata in un paese fantasma.

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